Roma, 07/10/2024
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Le auto a guida autonoma non sono così autonome. Il caso dei robotaxi

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Un articolo sottolinea come le auto a guida autonoma, in particolare i robotaxi intelligenti, in realtà dipendono da una supervisione da remoto da parte di tecnici umani

La guida autonoma è l’oggetto del desiderio del mondo automobilistico, una tecnologia croce e delizia su cui start-up e marchi del settore credono in maniera inversamente proporzionale agli utenti della strada, abbastanza freddi sui sistemi più avanzati.

Questi ultimi sono più restii ad un veicolo che sovraintende a diverse funzioni prima comandate da un essere umano. Non parliamo poi della futuribile prospettiva di un’auto che si guida completamente da sola. Eppure, anche la più sofisticata tecnologia non può fare a meno del contributo umano. E non parliamo solo del guidatore dentro l’abitacolo, ma da chi sovraintende da remoto.

Guida autonoma, quando da remoto è necessaria una supervisione umana

Un sistema, per farla breve, simile al controllo di volo negli aeroporti. Come dalla torre di controllo si tiene sottocchio il traffico aereo, così le auto intelligenti possono fare affidamento ad una gestione umana da remoto in caso di necessità. Ad esempio se i sistemi di assistenza vanno in tilt, per prevenire eventuali errori o situazioni non previste dalla sofisticazione presente nel veicolo.

Un articolo recentemente pubblicato su The Futurist parla di questa prospettiva. Più di una prospettiva a dire il vero: citando un articolo del New York Times, riporta infatti come diverse aziende fanno da anni uso di una supervisione umana per quanto riguarda le funzioni autonome delle loro auto. Pur non citando espressamente questo dettaglio.

Gli esempi legati ai robotaxi

Zoox, il servizio di taxi autonomi fornito da Amazon, ad esempio, a quanto pare si affida a dei tecnici che sovraintendono da remoto i veicoli. Idem realtà come Waymo, appartenente ad Alphabet (a cui a sua volta fa capo Google). Nel 2021 l’azienda aveva rivelato a Reuters l’esistenza di quattro team di supporto che “monitorano ed assistono la flotta” di taxi che si guidano da soli. Questo per fornire “un secondo paio di occhi” in determinate situazioni.

Tuttavia, sempre stando al New York Times, mancano dati precisi sul tempo di utilizzo di questo staff di supporto, e quanto le vetture dipendano effettivamente dal loro controllo. Questi tecnici controllano ogni aspetto dei sistemi autonomi, o entrano in gioco solo in particolari frangenti? A differenza dei controllori di volo, monitorare il trasporto privato via terra è un altro paio di maniche in termini di tempo speso e di prevedibilità. Gli aerei hanno ad esempio orari precisi, un utente della strada no. Anche quando parliamo di servizi come i taxi. E oltre al quando, non si può sapere quanto userà la propria vettura. Per non parlare poi della prontezza dei riflessi in casi di pericoli improvvisi. Non è un caso che la tecnologia di guida intelligente in realtà per ora può operare solo in contesti ristretti e con velocità ridotte.

Per ora l’autonomia totale non è una realtà

Altro esempio del NYT, Cruise, la controllata da General Motors che si occupa di guida autonoma. Secondo la testata c’è una media di circa 1,5 lavoratori che supervisionano ogni robotaxi. Come vediamo il controllo umano si vede per ora necessario in particolare sui veicoli di questo genere, ovvero quelli che offrono il servizio di trasporto a pagamento per gli utenti. Ma a quel punto non si vede perché non preferire un taxi normale o un Uber, dove l’autista in carne ed ossa te lo ritrovi al normale posto di guida.

In buona sostanza, l’autonomia totale resta per ora una chimera. Le auto, anche e soprattutto nel caso dei robotaxi, a quanto pare non si guidano esattamente da sole. C’è molto marketing dietro, e come spiega Cade Metz sul NYT, “creando l’illusione di una completa autonomia, le aziende possono alimentare l’interesse per la loro tecnologia e raccogliere i miliardi di dollari di cui hanno bisogno per costruire un servizio di taxi robot fattibile“.

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