Roma, 13/05/2024
Roma, 13/05/2024

La risposta europea all’Inflation Reduction Act statunitense: l’UE verso una completa transizione ecologica nell’industria e nella mobilità (e meno dipendente dalla Cina)

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Una relazione di Transport & Environment analizza come l’Europa possa seguire una via concorrente all’Inflation Reduction Act, approvato negli Usa, per un’economia sostenibile e verde, dall’industria alle batterie per i veicoli elettrici

Mentre gli Stati Uniti hanno mandato in porto lo scorso anno l’Inflation Reduction Act, possente legge federale che mira anche a concretizzare la transizione ecologica, l’Europa dovrebbe rispondere con un Green Deal che punterebbe a rendere l’economia dell’UE sostenibile e a zero impatto entro il 2050.

La via europea alla transizione ecologica

Un report pubblicato da Transport & Environment, disponibile anche sulle nostre pagine, analizza la risposta europea alle politiche espansive statunitensi sul fronte della sostenibilità e delle tecnologie pulite, con il vecchio continente che si ritrova schiacciato anche dalla concorrenza cinese, come vedremo.

Anzitutto, l’UE sta spingendo nel settore della mobilità elettrica, dalla produzione delle vetture alla creazione di infrastrutture di ricarica adeguate, come la recente proposta dell’Europarlamento di un punto di ricarica ogni 60 km sul territorio dell’Unione; altro dato cruciale, le batterie, giacché nel report si legge che oltre la metà di tutti gli accumulatori agli ioni di litio presenti sul mercato UE nel corso del 2022 sono stati prodotti in Europa. La prospettiva è che quest’ultima diventi il secondo produttore mondiale di celle entro la fine del decennio (e magari la recente scoperta di un vasto giacimento di terre rare in Svezia potrebbe dare una mano in questo senso).

I punti critici del corso sostenibile dell’economia europea

Tuttavia, rischio generato dalla concorrenza del piano di stimolo americano, si legge nel report, potrebbe orientare diversamente le intenzioni delle aziende che intendono investire in Europa, con il rischio di ritardare i progetti: grazie all’IRA c’è stata una espansione degli investimenti in impianti di batterie (tra cui le gigafactory, che stanno sorgendo comunque anche in Europa), nella loro fabbricazione e lavorazione, ma anche nell’estrazione dei metalli. Questo dovuto al requisito presente nella legge secondo il quale dal 2024 il 40% dei metalli delle batterie deve essere di origine statunitense, nonché la metà di tutti i componenti della batteria per poter accedere ai crediti d’imposta sui veicoli elettrici.

Ciò che però preoccuperebbe di più l’Europa sono i crediti d’imposta non sulle auto elettriche, quanto sulla produzione a lungo termine per l’industria delle batterie e per la catena di approvvigionamento dei metalli essenziali per il loro funzionamento, stabiliti sino al 2032.

L’UE, intanto, sovvenziona il mercato di veicoli EV e le catene di approvvigionamento: citiamo ad esempio gli oltre 20 miliardi di euro destinati negli ultimi anni con programmi come l’Importante Progetto Comune di Interesse europeo (IPCEI) per le batterie innovative, per “creare una catena di valore pienamente integrata nell’Unione europea che produrrà materie prime, celle, moduli e sistemi di batterie su larga scala e che consentirà la riconversione, il riciclaggio e la raffinazione su scala industriale”, oppure i fondi dell’InvestUE, del Next Generation EU con il recepimento a livello nazionale dei Paesi membri (come il nostro PNRR). Nell’anno passato sono stati spesi circa 6 miliardi di euro per il sostegno all’acquisto di auto elettriche nell’UE, quindi l’Europa sino ad ora non è rimasta inerte nella transizione ecologica.

Ma rispetto al piano americano, nel vecchio continente bisogna fare i conti con l’ostacolo della burocrazia, tra processi di sblocco ed ottenimento dei fondi a tratti lenti e farraginosi (come le norme UE sugli aiuti di Stato con cui a volte anche l’Italia si è scontrata, in cui si chiede alle aziende di dimostrare l’impossibilità della realizzazione di un progetto senza il finanziamento europeo): il report di Transport & Environment suggerisce quindi uno snellimento dei processi, ma non basterebbe “in quanto andrebbe a beneficio solo di Stati membri ricchi come la Germania, ma lascerebbe indietro molti altri Paesi”.

Le soluzioni offerte dal report: il Fondo di Sovranità Europeo

Dopo un abbattimento della burocrazia, o perlomeno una sua ottimizzazione, serve quindi una armonizzazione delle politiche di sviluppo sostenibile europeo, con l’istituzione “d’urgenza” del Fondo di Sovranità Europeo annunciato dalla presidente dell’UE Ursula von der Leyen per il sostegno della transizione climatica, tecnologica ed industriale. Il report suggerisce di dotare il fondo di “almeno 350 miliardi di euro tramite un’emissione congiunta di debito da parte della Commissione europea” (vai e trova l’accordo tra gli Stati membri…), con compiti circoscritti alle energie rinnovabili, all’elettromobilità e alla catena di fornitura di batterie sostenibili, “vale a dire mirare ai settori direttamente interessati dall’IRA statunitense”.

In sostanza, il FSE dovrebbe diventare la spina dorsale della politica industriale verde dell’UE”, si legge. I vantaggi del prestito condiviso vengono così illustrati: “Data la diversa capacità di indebitamento degli Stati membri dell’UE, il prestito congiunto consente agli Stati in una situazione finanziaria più precaria di accedere comunque ai mercati finanziari, quindi garantire che i migliori progetti (piuttosto che quelli nelle realtà più ricche) si realizzino. Il prestito congiunto fornisce anche termini e condizioni migliori rispetto a quelli a cui i governi potrebbero accedere da soli. L’Europa non può competere con Stati Uniti o Cina senza un forte braccio finanziario dell’UE a sostegno delle nostre ambizioni industriali e climatiche”.

Le prospettive future della transizione ecologica nell’UE

L’Europa potrebbe quindi arrivare a produrre 6,7 milioni di auto elettriche entro il 2030, si stima nel report di T&E, in linea con l’obiettivo di portare la CO2 al 55% concordato di recente con le case automobilistiche entro il 2030, “il che dovrebbe tradursi in una quota del 50-60% delle vendite di auto elettriche a batteria”.

Sul fronte delle batterie, si potrebbe raggiungere l’autosufficienza in termini di produzione delle celle degli accumulatori degli ioni di litio dal 2027, con un incremento anche in termini di raffinazione e lavorazione dei metalli delle batterie, dove la Cina ha una posizione da leader del settore. “L’Europa è sulla buona strada per produrre abbastanza celle agli ioni di litio per soddisfare pienamente la domanda interna di veicoli elettrici e di accumulo di energia”, con “due terzi della domanda europea di catodi, che contengono materie prime critiche, [che] potranno essere prodotti a livello nazionale entro il 2027”, si legge in un articolo dedicato di T&E, che però mette in guardia sulla necessità di una politica che contrasti i sussidi americani, come abbiamo visto.

La dipendenza Cina si può superare anche nel settore della raffinazione e lavorazione dei metalli delle batterie: “oltre il 50% della domanda di litio raffinato in Europa può provenire da progetti europei entro il 2030”, è la previsione. Fondamentale anche un’altra prospettiva: “i materiali disponibili per il riciclo da batterie a fine vita o rottami (provenienti da fabbriche di batterie europee) potrebbero soddisfare almeno l’8-12% del fabbisogno di metalli critici nel 2030, compreso un decimo di tutto il cobalto, il 7 % di nichel ed il 6% di litio”, si legge nel report.

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