La NASA sta lavorando assieme a Lockheed Martin per la realizzazione di un razzo a propulsione nucleare termica che possa raggiungere Marte in 45 giorni. La tecnologia alla base del progetto e perché garantisce una tale efficienza
Circa sei settimane per coprire una distanza di oltre 200 milioni di km, quella che separa la Terra da Marte. È questo ciò che promette l’ambizioso progetto della NASA in collaborazione con il Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e con Lockheed Martin. A quest’ultima è stata affidata la progettazione, la costruzione e infine la messa in prova di un razzo a propulsione nucleare termica all’interno del progetto DRACO (Demonstration Rocket for Agile Cislunar Operations).
Una tecnologia che potrebbe garantire un viaggio di 45 giorni dal nostro pianeta a Marte. Qualcosa di strabiliante e rivoluzionario, visto che in teoria servirebbero almeno sette mesi per compiere questo viaggio interplanetario.
La propulsione nucleare, una tecnologia che ha radici nel passato
Non è la prima volta che si parla di energia nucleare per viaggi oltre la nostra orbita. Esistono infatti altri progetti, al vaglio anche dell’ESA, e non solo per come propellente per i razzi, ma anche per realizzare sistemi di fissione nucleare con reattori che possono alimentare rover e persino basi lunari.
Sta di fatto comunque che l’annuncio di raggiungere Marte in poco più di un mese segnerebbe un traguardo importante per l’esplorazione spaziale. E questo grazie ad una tecnologia, quella nucleare termica, che ha molti decenni sulle spalle. Negli anni sessanta, ha spiegato tempo fa a Le Scienze Simone Mannori dell’ENEA (dove lo scienziato opera per la Divisione Studi del Plasma) fu sviluppato il razzo NERVA, ovvero Nuclear Engine for Rocket Vehicle Application, che come suggerisce il nome fu il primo veicolo celeste dotato di motore nucleare. Tutto è partito da una modifica al Saturn V, razzo vettore per le missioni Apollo, ha proseguito Mannori. Ma poi il progetto fu chiuso nel 1972 per via dei tagli al bilancio.
Come funziona la propulsione nucleare termica
Ora il ritorno in auge. Valutata come alternativa alla tradizionale propulsione chimica, la propulsione nucleare termica si basa (spieghiamo in maniera brutale) su un reattore a fissione nucleare e su un gas neutro (di solito idrogeno, ma non è escluso anche l’elio, sebbene quest’ultimo sia più costoso) che viene riscaldato ad altissime temperature, e che fuoriuscendo funge da spinta per il razzo.
Inoltre, rispetto alla propulsione di tipo chimico, quella nucleare termica permette prestazioni migliori, con tempo di viaggio più rapidi, ma non mancano però aspetti critici. Mannori, sempre a Le Scienze, ha spiegato: “Il primo aspetto è relativo alla sua massa (peso). Tuttavia, negli ultimi anni, si sono resi disponibili materiali e tecnologie compatibili con la fissione che usano materiali relativamente leggeri, per esempio il titanio. La seconda criticità riguarda l’uso di combustibile nucleare (uranio arricchito oppure plutonio) che richiede attenzioni e salvaguardie particolari nella fase più critica del decollo”.
Sempre Mannori ha però poi precisato sistemi di propulsione a ciclo aperto, basati su deuterio ed elio e con elio ed idrogeno come prodotti di reazione, non presenterebbe questo tipo di aspetti critici, e neppure la necessità di pesanti strutture di contenimento.
Quando partiranno i test NASA e in cosa consisteranno
Tornando al progetto DRACO della NASA, i test se tutto va come previsto dovrebbero partire nel 2027. Il vettore dovrebbe usare un carburante a base di uranio ad alta concentrazione ma al tempo stesso a basso arricchimento. Durante il test è previsto che per ragioni di sicurezza il reattore a fissione, costruito da BWX Technologies, resti spento sinché il vettore non raggiungerà l’orbita prevista.
La distanza che dovrebbe coprire il razzo è di circa 700 km, e non più i quasi 2.000 inizialmente previsti. Nessuna manovra programmata allo stato attuale delle cose, ma la possibilità di sfruttare i dati del test oltre all’opportunità di provare un eventuale rifornimento in orbita grazie ai due mesi di idrogeno liquido presente a bordo. Il problema, semmai, sarà quello di far riscaldare l’idrogeno a 4.400°F, quasi 2.500°C, visto che quest’ultimo si conserva a -420°F, ovvero -215°C. Il test servirà quindi anche a dimostrare la possibilità di stoccare in orbita dell’idrogeno liquido.
Il costo del progetto si aggira sui 500 milioni di dollari.