Roma, 05/12/2024
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Perché la produzione di litio in Cile sarà (quasi) nazionalizzata

11produzione di litio in Cile

L’annuncio del presidente cileno Gabriele Boric di voler nazionalizzare le riserve di litio ha creato non poco scompiglio nel settore della mobilità sostenibile. Bisogna perciò riflettere su quale sarà l’effetto sull’industria e sull’ambiente di un’azione di questo tipo

“Qualsiasi azienda privata, sia straniera che locale, che voglia sfruttare il litio in Cile deve collaborare con lo Stato”: è così che ha annunciato Gabriele Boric, presidente cileno. Il suo piano prevede che le imprese private debbano siglare degli accordi con il governo per gestire in comune le riserve di ‘oro bianco’. Una proposta che è stata accolta da reazioni molto diverse tra di loro, ma che risponde a una volontà di cambiare il modo di sfruttare le possibilità del territorio nell’ottica di un futuro diverso.

“Questa è la più grande opportunità che abbiamo per transitare verso un’economia sviluppata e sostenibile. Non possiamo permetterci di sprecarla”, ha dichiarato il politico in un programma televisivo, in cui non ha dimenticato di far presente l’importanza del litio per i veicoli elettrici.

In realtà il Cile non ha inventato nulla. Lo scorso anno il Messico aveva deciso di nazionalizzare l’industria del litio e lo Zimbabwe ne aveva vietato l’export. Sembra anzi quasi probabile che nel breve termine venga proposto un sistema “tipo l’OPEC (che riguarda il settore petrolifero, ndr) per il litio”, come l’ha definito il presidente boliviano Luis Arce: un OLEC, insomma.

Quanto bisognerà aspettare perché il piano entri in vigore

Non si tratta comunque di un progetto che si realizzerà nell’immediato. Intanto bisognerà aspettare che vi sia la maggioranza assoluta in entrambe le Camere del Congresso del Paese. Nel frattempo, però, la National Copper Corporation (Codelco) assumerà il ruolo di mediatore per firmare accordi con soggetti privati per la produzione del litio in Cile.

La ministra per le Risorse minerarie Marcela Hernando ha chiarito che non ci potrà essere una nazionalizzazione completa perché “la tecnologia e le conoscenze sono nell’industria privata”. Sarà perciò necessario procedere attraverso partenariati con le imprese.

Non è comunque la prima volta che un piano del genere viene annunciato e realizzato in Cile. Già Salvador Allende aveva realizzato una forma di nazionalizzazione dell’estrazione del rame. Ne era nata la Società chimica e mineraria cilena (Sqm), attiva già dal 1997 anche per il litio, che allora però era un materiale di nicchia.

Qual è la situazione attuale in Cile

Al momento in Cile ci sono due imprese che operano nel settore. La prima è la statunitense Albemarle, mentre l’altra è appunto la Sqm, ormai da trent’anni guidata dal consuocero di Pinochet, Julio Ponce, ma la cui proprietà è divisa tra diversi shareholder. Tra questi anche la cinese Tianqi Lithium, che ne possiede il 24% ed ha contratti di fornitura con Tesla, Lg Energy Solution e altri.

La prima l’anno scorso ha versato nelle casse dello Stato 600 milioni di dollari, mentre la seconda 5 miliardi, quasi il doppio rispetto a Codelco per il rame. Secondo la US Investment Bank, il Cile è il terzo produttore al mondo di carbonato di litio, dietro soltanto ad Australia e Cina. Subito dopo, invece, c’è l’Argentina. Ed è proprio insieme ad Argentina e Bolivia che il Cile costituisce il cosiddetto “triangolo del litio”, che possiede il 53% di riserve conosciute al mondo, e potrebbe essere un ottimo punto di partenza per la creazione – appunto – di quell’OLEC di cui qualcuno sta cominciando a discutere.

Tra l’altro il Cile non è in realtà lo Stato più ricco di litio in Sud America. È superato dall’Argentina, che possiede il 21% delle risorse conosciute ma finora è stata in grado di produrre soltanto il 6% del litio globale.

triangolo del litio produzione del litio in Cile
Visualizzazione geografica del cosiddetto ‘triangolo del litio’. Traduzione di una mappa originariamente pubblicata dall’Inter-American Development Bank

Le reazioni delle aziende

Com’è ormai risaputo, il litio è un materiale fondamentale per costruire le batterie più moderne. Di conseguenza la sua presenza o meno sul mercato influenzerà il futuro delle tecnologie, in particolare di quelle relative alla mobilità sostenibile. Le aziende lo sanno molto bene.

Se imprese come Albermarle ritengono il cambiamento non sia un ostacolo alla loro produzione di litio in Cile, altri sono rimasti più sull’attenti. Tra questi la coreana Sk On, che ha un contratto con Sqm e ha dichiarato che monitorerà gli sviluppi futuri.

Le peculiarità del litio latino-americano

La produzione di litio in Cile viene definita ‘non convenzionale’. A differenza dell’Australia, nelle cui miniere il metallo è estratto sotto forma di roccia, in Sud America lo si recupera da aree come le salamoie del Salar de Atacama. Si tratta di grandi laghi salati all’interno dei quali il litio è presente sotto forma di incrostazioni.

Per estrarlo, dunque, è necessario seguire un processo di evaporazione, con perciò grandi consumi d’acqua in zone particolarmente desertiche. Inoltre, la produzione richiede più tempo rispetto ad altri metodi di estrazione. Ne avevamo già parlato in merito alla sostenibilità ambientale di un processo di questo tipo.

Dall’altro lato, la possibilità di utilizzare energie rinnovabili – presenti in grande quantità in questa regione geografica anche grazie alla presenza di centrali idroelettriche – può molto contribuire a rendere la produzione di litio in Cile e nel resto del Sud America il più verde possibile.

Di recente, però, la Bolivia ha chiesto esplicitamente alle aziende di contribuire per la creazione di un nuovo metodo ‘diretto’ di estrazione del litio. A differenza di Cile e Argentina, infatti, questo Paese ha più difficoltà a recuperare il minerale e ha bisogno di innovazioni tenologiche per estrarlo in modo più sostenibile economicamente. Novità che potrebbero essere usate anche per la produzione di litio in Cile, laddove fossero più ecologiche e convenienti.

Il rapporto tra America Latina, litio e industria mineraria

Il Sud America non è nuovo al settore minerario. La regione produce il 40% della produzione globale di rame (il Cile è anche qui in testa con il suo 27%, come riporta Visual Capitalist). Qui si trovano anche diverse miniere di grafite, nichel e manganese.

Non è però sempre stato facile far sviluppare questa industria sul territorio, e non lo è tutt’ora. Anzitutto per ragioni tecnologiche: ad esempio, come già detto, in Bolivia c’è una quantità di litio enorme, ma è difficile estrarlo perché particolarmente impuro.

Poi c’è una questione sociale. L’estrazione di materie prime ha un forte impatto sul territorio e, quindi, sulle comunità che ci vivono. Se da un lato la scelta di Boric è inquadrabile nell’ottica di voler salvaguardare l’ambiente dallo sfruttamento dei privati, dall’altro dovrà rispondere alle richieste della società cilena.

Il sentimento contrario alle miniere – che danno tanto lavoro ma tolgono molto a livello di diritti umani e ambientali – non manca di certo. Disastri come quello del fiume Sonora in Messico, inquinato nel 2014 da metalli tossici con effetti su ecosistema marino, agricoltura e migliaia di persone, o come quello di Brumadinho in Brasile, dove hanno perso la vita almeno 272 persone, sono ancora molto sentiti sul territorio. Prima di agire nel settore minerario, qualsiasi governo deve rassicurare la popolazione su cosa farà per salvaguardare la salute pubblica e il territorio e per pianificare risposte efficaci alle crisi.

Infine, c’è un problema economico. Per costruire una miniera c’è bisogno di un grande investimento iniziale, spesso coperto da privati che vengono dall’estero. Anche per questo la scelta del presidente cileno non può essere di chiusura totale, perché significherebbe non attrarre il denaro necessario per far avanzare il settore. Per il futuro possiamo allora aspettarci una semi-nazionalizzazione.

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