Roma, 20/05/2024
Roma, 20/05/2024

L’Asia corre sugli EV, ma perde la gara della sostenibilità

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Il resto del mondo arranca cercando di stare dietro alla volata dell’Asia nella grande corsa per l’adozione dei veicoli elettrici. Forse, però, la attende un buco nero che può risucchiare il settore in un vortice di inattesa insostenibilità

Il grande dragone cinese, è risaputo, sta investendo molto sui veicoli elettrici, così come ci sta provando l’India. Si prevede che in Cina nel 2035 ci saranno 30 milioni di EV di proprietà, mentre in India tra 2021 e 2022 le registrazioni sono triplicate. L’Asia, dunque, sta emergendo come il continente che va più forte quando si parla dei mezzi del futuro. Eppure anche questo ha un costo, ed è la poca sostenibilità.

La vertiginosa crescita della Cina

Grandi compagnie come Shell, Tata Motors e Mahindra&Mahindra stanno puntando molto sull’Asia e gli EV, proprio perché riconoscono che c’è un mercato non solo produttivo, ma anche di acquisto, in netta crescita. La principale associazione automobilistica cinese prevede che le vendite di auto elettriche e green arriveranno a 8,5 milioni di unità quest’anno, raggiungendo il 36% delle vendite totali, quota ben lontana dal 3,7% italiano del primo quadrimestre 2023.

Il dragone rosso sta vivendo una stagione positiva per le vendite ma da anni guida la produzione di veicoli elettrici globale. Questo anche grazie a una serie di investimenti statali che hanno incoraggiato gli imprenditori locali a inserirsi in questo mercato creando nuovi marchi da zero. Spesso si tratta di aziende che non hanno mai costruito auto a combustione, e che si sono immediatamente tuffate nel mondo dell’elettrico. “Si sono sviluppate velocemente, e hanno prodotto [gli EV] su larga scala – ha commentato il presidente esecutivo di Ford, Bill Ford –. Ora li stanno esportando”. Per poi aggiungere, chiaramente, che il mercato occidentale deve prepararsi all’arrivo di questi prodotti.

La situazione in India

In India, oggi ci sono 1,01 milioni di EV registrati, buona parte di questi a due o tre ruote. Tant’è che si parla solo dell’1% di EV sui 3 milioni di auto vendute ogni anno (ma lo Stato sta attuando delle policy per far arrivare questo numero al 30% entro il 2030). Resta limitato il numero di colonnine di ricarica, anche se il governo pianifica di aggiungerne in 22mila stazioni di servizio sulle principali arterie stradali. “Infrastrutture di ricarica limitate, bassa produzione domestica di veicoli elettrici e costi elevati delle batterie rimangono tra i principali ostacoli nel mantenere un forte tasso di adozione di EV” in India, ha spiegato Dylan Sim, un analista del mercato petrolifero per Facts Global Energy.

La questione ricarica in un’Asia degli EV

Se è un bene che aumenti il numero di veicoli elettrici venduti, restano fondamentali le infrastrutture. Ma anche in questo l’Asia degli EV ci sta superando. Entro il 2029 il mercato asiatico delle stazioni di ricarica raggiungerà i 69,9 miliardi di dollari, e si prospetta cresca del 30,8% annualmente. Una percentuale più alta del tasso composto di crescita annuale globale, che si ferma al 26,6%. Non possiamo invece sapere ancora quanto influiranno positivamente gli investimenti privati. Shell sta portando avanti un’azione di diversificazione per non rischiare di soccombere in un futuro di rinnovabili, e per questo pianifica di investire tra i 10 e i 15 miliardi di dollari in tecnologie più pulite. E lo farà proprio nel continente asiatico.

Una corsa che si rivela insostenibile (per tutti)

Se l’impressione dall’esterno potrebbe essere quella di dover rincorrere questo mercato per stare al passo a tutti i costi, forse è meglio fermarsi a pensare. Ci sono diverse ragioni per cui è più semplice in certe parti del mondo sviluppare automobili e tecnologia a una velocità maggiore rispetto alla nostra. Generalmente la principale è il costo della manodopera, ma non solo.

Petrolio e gas continueranno ad avere ruoli importanti nel mix energetico asiatico, il che significa che il ciclo di vita di questi nuovi veicoli elettrici già adesso ha un costo ambientale più elevato di quanto si possa pensare. Per quanto ci siano stati grandi investimenti per produrre energia rinnovabile proprio in Cina e India, la dipendenza della regione dalle fonti non rinnovabili è ancora elevata e persino in crescita.

A fine 2022 il ministro per il Carbone indiano, Shri Pralhad Joshi, aveva dichiarato che il Paese non ha intenzione di eliminare a breve il carbone dal proprio mix energetico. Anzi, ha spiegato che continuerà a svolgere un ruolo importante almeno fino al 2040. E la Cina, per quanto abbia raggiunto l’obiettivo di produrre il 50,9% della propria capacità elettrica da fonti non fossili, starebbe pianificando, secondo il think tank Global Energy Monitor, la costruzione di circa 366 GW di nuova capacità generativa a carbone.

La forza dell’Unione Europea (e del resto dell’Occidente), dunque, può nascere dalla sua convinzione nel voler raggiungere gli obiettivi di sostenibilità nel modo più rispettoso possibile. Questo non passa soltanto dal mix energetico, ma dalla sostenibilità sociale e lavorativa e dalla diversificazione dei propri fornitori di materie prime. Perché anch’esse fanno parte del ciclo di vita di un prodotto, e bisogna cercare di renderlo sempre più “pulito” sia dal punto di vista ambientale che umano.

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