Roma, 19/04/2024
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Idrogeno, buona idea per i mezzi pesanti: è boom di progetti nel mondo (con un occhio alla Cina)

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C’è ancora molta strada da fare per l’idrogeno, sia dal punto di vista della produzione dei veicoli che per le infrastrutture. Ma oggi sono sempre di più i progetti annunciati nell’ambito, con dati che fanno riflettere

Se l’idrogeno non è ancora un sostituto dell’elettrico valido quanto potrebbe sembrare sulla carta, ci sono evoluzioni interessanti per alcuni tipi di mezzi. Si parla nello specifico del suo potenziale per i camion a lunga percorrenza, che sono forse tra le modalità di trasporto che più tra tutte potrebbero beneficiare dall’introduzione di questo tipo di carburante.

Le difficoltà nel decarbonizzare le tratte lunghe

I camion che percorrono tratte brevi ed i mezzi pesanti in simili condizioni possono essere elettrici senza troppi problemi. Ma non si può dire lo stesso per i percorsi più lunghi, che sono spesso imprevedibili e difficili da sostenere se il motore funziona a batteria. Anche e soprattutto per questa ragione oggi come oggi, quando si parla di motori a idrogeno, si pensa soprattutto a queste situazioni.

Un camion a idrogeno, in effetti, può fare rifornimento molto più velocemente (senza perciò richiedere lunghe attese tra una tratta e un’altra) e può viaggiare per più tempo. Risulta anche più leggero se si considera il peso importante delle batterie di questo tipo. L’unico problema che può incorrere in tal senso è legato al volume dell’idrogeno, per nulla indifferente.

Nei casi migliori, dunque, l’idrogeno può essere una soluzione molto efficace e che può risolvere problemi imponenti. Così accelerando la riduzione nel consumo di combustibili fossili, tanto necessaria per la salvaguardia del pianeta.

Capire quale sarà il ruolo dell’idrogeno nel prossimo futuro

Non è perciò molto lontano il momento in cui l’idrogeno sarà utilizzato per i mezzi pesanti. Anzi, qualcuno lo sta già facendo: è il caso della Svizzera, dove camion a celle a combustibile a idrogeno sono già impiegati.

Per quanto non sia ancora una tecnologia particolarmente diffusa (soprattutto sulle nostre strade), può essere però molto risolutiva in specifici contesti. Anche se si accennano gli inizi nella produzione di veicoli privati, come le automobili, il mercato non è ancora maturo ed in realtà si sta muovendo verso l’alimentazione ad idrogeno dei mezzi commerciali, con un’eccezione alla regola rappresentata da Giappone e Corea del Sud, dove i governi stanno dando supporto statale per l’acquisto di automobili a idrogeno. Ci si aspetta, infatti, che in futuro il 95% dei mezzi a idrogeno sarà di tipo commerciale.

Per l’Europa, secondo i dati McKinsey & Company, si parla di quasi 850.000 camion medio-pesanti a idrogeno entro il 2035. Il che significa che dovranno sicuramente aumentare le stazioni di rifornimento dedicate lungo tutto il percorso.

Il problema delle infrastrutture per il rifornimento

Uno dei problemi principali per la diffusione di questo combustibile, come già accennato, è legato alle infrastrutture di rifornimento per l’idrogeno. Non ci si può però limitare a creare delle stazioni di servizio: anzitutto servono gli stabilimenti per la sua produzione.

Proprio per affrontare la questione, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono stati stanziati 230 milioni di euro per la creazione di almeno 40 stazioni di rifornimento in aree strategiche per i trasporti stradali come autostrade, porti e terminal di tipo logistico utili proprio per il trasporto tramite autocarri a lungo raggio, e si parla della “realizzazione di circa 40 stazioni di rifornimento per camion e auto funzionanti anche a pressioni di oltre i 700 bar”. Tra le rotte identificate come cruciali il Corridoio Green and Digital del Brennero e il corridoio Ovest-Est da Torino a Trieste. Questo è comunque solo parte di un più ampio progetto finanziato dal PNRR riguardante gli obiettivi di energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile.

Altro fattore determinante a livello infrastrutturale sarà il tipo di idrogeno che andrà prodotto. Esistono infatti mezzi che richiedono idrogeno liquido che quelli che ne prevedono la forma gassosa, e chi agirà in quest’ambito dovrà trovare un sistema per soddisfare entrambe le richieste.

Gli investimenti sull’idrogeno nel mondo e il caso Cina

Oggi il mondo conta l’annuncio di più di 680 progetti a larga scala riguardanti l’idrogeno, di cui 314 solo in Europa. Si tratta di idee per il suo uso a livello industriale, per i trasporti, nelle infrastrutture. Ma c’è un altro fattore molto interessante: in Asia è la Cina ad avere metà degli annunci totali, di cui buona parte nell’ambito della mobilità.

Si parla infatti di ben 200.000 tonnellate l’anno di idrogeno verde come obiettivo per la Cina da raggiungere entro il 2025. Tutto questo nella speranza di avere sul territorio nazionale circa 50.000 veicoli a idrogeno, secondo i dati governativi. “Lo sviluppo dell’idrogeno è una mossa importante per la transizione energetica – ha spiegato Wang Xiang, il direttore del Dipartimento di Alte Tecnologie della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma (NDRC) cinese – ed è anche un grande supporto per il carbon peak in Cina e i suoi obiettivi di neutralità carbonica”.

Si tratta comunque di un dato che, associato ai 33 milioni di tonnellate annuali di idrogeno prodotti attualmente in Cina (per circa l’80% generati con gas naturale e carbone e per il resto un sottoprodotto di altri settori industriali), non è comunque soddisfacente.

Al tempo stesso, la Cina si sta distinguendo a livello internazionale come sviluppatrice e produttrice dei sistemi di elettrolisi alcalina più economici. Un metodo che costa più di 1100 euro per kilowatt in Europa e in USA, infatti, nella versione cinese costa 320 euro. La motivazione è la solita: nel paese più popoloso del mondo, infatti, il costo della manodopera è molto più economico, e la catena di fornitura di componenti e materia prima è più evoluta. Secondo alcuni studi, i prodotti per l’elettrolisi cinesi potrebbero diventare molto popolari a livello globale tra il 2025 e il 2030.

A questo punto, però, c’è da chiedersi se possa essere definito sostenibile un sistema che prevede lo sfruttamento di manodopera a basso costo al suo interno.

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